C’è un internet che non conosciamo, un universo parallelo fatto di pagine dimenticate, blog di nicchia e contenuti sepolti. È lì che i chatbot AI vanno a pescare informazioni. Lo studio di Ahrefs lo conferma: il 90% dei link citati da ChatGPT e simili non è nei primi dieci risultati di Google. L’80% non compare nemmeno nei primi cento.
Un’eccezione chiamata Perplexity
Mentre ChatGPT, Gemini e Copilot si muovono tra angoli remoti del web, Perplexity sembra più vicino al nostro modo di cercare. Grazie al suo motore proprietario, riesce a citare risultati che coincidono con Google quasi tre volte più spesso. Ogni sua risposta porta con sé citazioni visibili: un piccolo faro di trasparenza.
Il metodo delle AI
Non chiedono solo “come pulire una macchina del caffè”. Cercano decine di varianti, fondono i risultati e restituiscono una risposta costruita. È il “query fan-out”: un modo diverso di esplorare il sapere, che premia la diversità più che la posizione in classifica.
Il destino della SEO
Per chi crea contenuti, è un cambio epocale. Essere primi su Google non basta più. Servono cluster, approcci multipli, racconti che tocchino più lati di una stessa domanda. Perché domani, quando un utente chiederà qualcosa a una AI, la tua pagina potrebbe essere lì, scelta da quell’algoritmo che naviga in profondità.
Un web che cambia
La verità è che l’AI non cerca come noi. Ogni risposta è unica, ogni fonte diversa. È l’inizio di una nuova era: quella dell’internet sommerso, dove il valore non sta solo nella posizione, ma nella capacità di essere trovati da chi guarda il web con occhi nuovi.